A cura di Fabiana Speranza, Psicologa
La famiglia nel corso del ciclo di vita compie un processo di continua ristrutturazione della trama dei rapporti tra i membri che la compongono (Andolfi, 2003) e si trova a confrontarsi con eventi nuovi che mettono in crisi le abituali modalità di funzionamento, non più idonee al cambiamento avvenuto, richiedendo un nuovo assetto familiare (Malagoti Togliatti, Telfener, 1992).
Il superamento dei momenti critici appare legato al grado di “minaccia” che viene loro attribuito dalla famiglia stessa ed alle risorse che è in grado di mettere in atto di fronte a questi (Andolfi, 2003). Fondamentali quindi sono le capacità che la famiglia riesce ad attuare in termini di cambiamento, riorganizzazione ed adattamento. La nascita di un bambino con disabilità rappresenta un evento potenzialmente disadattivo per la maggior parte delle famiglie: provoca una rottura degli equilibri preesistenti, impone per i genitori una serie di problematiche complesse e sconosciute, conduce a un’elevata medicalizzazione del loro tempo e delle loro aspettative, favorendo una distorsione del normale processo di rifiuto/accettazione, a causa della presenza di un figlio molto diverso dalle aspettative e dalle speranze, portatore suo malgrado di angosciosi fantasmi per il futuro (Pierro, 1994).
La famiglia deve quindi essere considerata come protagonista di un processo di adattamento oltre che come vittima di una situazione stressante e ciò è fondamentale per immetterla a pieno titolo nel processo terapeutico o riabilitativo delle cure, per considerare l’aspetto delle risorse attivabili anziché quello dell’handicap (Dall’Aglio, 1994; Zanobini, 1998).
Nella letteratura relativa alle conseguenze sociali della disabilità è comune l’assunto che la presenza di un figlio con disabilità determini, in modo incondizionato, una situazione di sofferenza nella famiglia non affrontabile solo con le risorse individuali e la capacità di adattamento (Schonell, F. J. e Watts, B. H., 1957).
Studi sullo stress [Knussen e Cunningham, 1988] hanno evidenziato come questo emerga dalla relazione individuo ed ambiente, quando questo ultimo è valutato come troppo esigente rispetto alle proprie risorse e quindi minaccioso del benessere personale. Considerare la presenza di bisogni speciali che interagiscono però con altri fattori quali l’accesso alle fonti di supporto, la coesione familiare, le caratteristiche personali, ha consentito il passaggio da un approccio patologico ad un modello dinamico di studio e di presa in carico delle famiglie.
La ricerca ha evidenziato come siano le madri che hanno sviluppato la capacità di lavorare con i professionisti a individuare con maggiore facilità i supporti istituzionali disponibili e, soprattutto, a sperimentare livelli più consistenti di soddisfazione per la qualità della vita, quest’ultima indicatore sempre più usato per legittimare gli interventi di politica sanitaria e sociale (G. Arrigoni, 2008).
Infatti la famiglia quando riesce ad attivarsi in modo efficace di fronte alle difficoltà che le si presentano, anche le più dure, raggiunge un adattamento positivo in grado di rispondere a una vasta gamma di bisogni dei suoi componenti; riesce a mantenere e rafforzare l’integrità familiare, a promuovere lo sviluppo dei suoi membri, a conservare una sua indipendenza e un controllo sulle influenze ambientali, raggiungendo una soddisfacente qualità della vita (Ianes, 1991).
In tutti gli orientamenti finora considerati emerge una visione di famiglia in cui la disabilità influisce sia sul benessere del singolo sia sulle relazioni tra i membri, come pure sulle possibilità di rapporti con il contesto. Proprio rispetto a quest’ultimo aspetto, è possibile annoverare tra le risorse possedute dalla famiglia per raggiungere un positivo adattamento, il sistema dei servizi che costituiscono la rete di supporto formale, di cui queste famiglie possono usufruire per contribuire a migliorare la propria qualità di vita.
Le più recenti riflessioni sul termine qualità di vita, sono state sviluppate soprattutto dallo Special Interest Research Group of the International Association for the Scientific Study of Intellectual Disabilities (Schalock R.L., Brown I., Brown R., Cummins R.A., Felce D., Mattika L., Keith K.D. e Parmenter T, 2002). Da questi studi emerge che sono tre i principi concettuali che caratterizzano l’odierna definizione di quality of life:
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la qualità di vita è multidimensionale ed è influenzata da fattori personali e ambientali;
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ha gli stessi componenti per tutte le persone;
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è costituito dall’autodeterminazione, dalle risorse, dagli scopi di vita e dal senso di appartenenza.
Quando si parla di servizi, ci si riferisce all’insieme dei servizi sociali, sanitari ed educativi presenti nella comunità. Le prestazioni fornite da tali strutture sociali costituiscono, secondo Fruggeri (1997), risorse esterne di cui le famiglie si possono avvalere per far fronte sia a compiti evolutivi normativi, poiché fisiologicamente attesi, come ad esempio la scuola, sia ad eventi critici (non attesi). Infatti secondo Fruggeri (1997), le prestazioni dei servizi sociali compensano la mancanza di risorse necessarie a far fronte ai cambiamenti innescati dall’evento critico. Interventi di questo tipo presuppongono una carenza di risorse nella famiglia in alcuni ambiti, mentre sono presenti in altri. Rientrano in questa categoria alcuni degli interventi dei servizi socio-assistenzali (per esempio, assistenza domiciliare), dei servizi sanitari e riabilitativi (servizio di logopedia) e delle strutture diurne o residenziali per soggetti non autosufficienti (Centro socio-terapeutico).
Rispetto alla qualità dei servizi le ricerche di Mitchell e Sloper P. (2001) hanno evidenziato come le famiglie ritengano decisivi sia il come sia il quando della presa in carico, ricordando la necessità di una sincronia di modalità e tempi tra l’organizzazione familiare e quella dei servizi. La qualità della presa in carico dipende innanzitutto dalla qualità della cura del bambino, ma anche dalla capacità della struttura e dei suoi professionisti di riconoscere il ruolo genitoriale. È il diverso modello organizzativo della struttura che si traduce in un saper e poter perdere tempo con i genitori, a veicolare quel senso di accoglienza di cui la famiglia ha enorme bisogno (Canevaro A. 2005).
Dalla letteratura sopra considerata è possibile quindi evincere l’incidenza che il supporto delle reti istituzionali e dei servizi sociali ha sul miglioramento della qualità di vita di famiglie con disabili. Pertanto è fondamentale operare affinché la ricerca possa contribuire ad elaborare politiche sociali adeguate e finalizzate a rendere sempre più efficace l’offerta di supporto di queste strutture. L’obiettivo strategico del servizio deve essere maggiormente indirizzata verso una stretta collaborazione famiglia-servizi, con una particolare attenzione e sensibilizzazione ai bisogni della famiglia.
Pavone M. (2010), afferma che per sostenere la logica dell’integrazione, “è necessario intervenire su diversi fronti: non tanto sotto il profilo giuridico – ormai maturo e consolidato ed eventualmente solo da perfezionare – ma soprattutto attraverso l’azione educativo-didattica, la formazione, le scelte politiche e organizzative”.
Purtroppo le politiche sociali attuali non vanno in questo senso. La “Legge di Stabilità economica e finanziaria” approvata recentemente, prevede infatti uno stanziamento esatto per il Fondo per le Politiche Sociali pari a 273,8 milioni per il 2011, di 69 milioni per il 2012, 44 per il 2013, a fronte di un impegno nel 2010 di 435 milioni complessivi, suddivisi fra le Regioni e Ministero.
Il Fondo per la non autosufficienza da 400 milioni nel 2010, passa a 0 nel 2011.
(fonte: Fish onlus, Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap).
In vista dei cambiamenti sociali ed economici dobbiamo chiederci come cambierà la qualità di vita di queste famiglie che non potranno più usufruire del supporto delle reti formali, nel momento in cui verrà a mancare il prezioso apporto di strutture socio-assistenziali pubbliche, che anche se in parte imperfette, dalla letteratura sopra riportata si dimostrano comunque basilari per favorire quel processo di adattamento e di riorganizzazione della famiglia, al fine di fronteggiare il disagio derivato dall’evento critico della nascita di un figlio disabile.
Bibliografia
Andolfi M., Manuale di psicologia relazionale. La dimensione familiare. Accademia di Psicoterapia della Famiglia s.r.l. (2003).
Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Universita’ Degli Studi di Padova, Facoltà di Psicologia (2008).
Canevaro A., L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella scuola italiana, Edizioni Erickson (2010).
Canevaro A., Prefazione. L’orgoglio e la gioia di essere genitori, in Dal Molin M.R., Bettale M.G. (a cura di), Pedagogia dei genitori e disabilità, Pisa, Del Cerro, 2005, p. 164
Colella E., L’incontro tra servizi e famiglie con handicap, 21/2007 Prospettive Sociali e Sanitarie.
Dall’Aglio E. (1994), Handicap e famiglia. In: Handicap e Collasso Familiare. Quaderni di Psicoterapia Infantile, 29. Borla. Roma.
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Fruggeri L. (1997), Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi psico-sociali, Carrocci, Roma.
Malagoti Togliatti M., Telfener U., Dall’individuo al sistema, Boringhieri, Torino, 1992.
Mitchell W., Sloper P., Quality in services for disabled children and their families: What can theory, policy and research on children’s and parents’ views tell us? Children & Society, Volume 15, Issue 4, pages 237–252, September 2001.
Pavone M., La via italiana all’integrazione scolastica degli allievi disabili. Dati quantitativi e qualitativi. In L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella scuola italiana a cura di A. Canevaro, Edizioni Erickson (2010).
Pierro M.M. (1994), Presentazione (a cura di). In Dall’Aglio E. (1994), Handicap e famiglia. In Handicap e collasso familiare, Quaderni di Psicoterapia Infantile, 29, Roma, Borla.
Schalock R.L., Brown I., Brown R., Cummins R.A., Felce D., Mattika L., Keith K.D. e Parmenter T., The conceptualisation, measurement and application of quality of life for persons with intellectual disabilities, in “Mental Retardation”, n. 40, 2002.
Schonell, F. J. e Watts, B. H. (1957). A first survey of the effects of a subnormal child on the family unit. American Journal of Mental Deficiency, 61, 210-219
Sepe D., Onorati A., Zeppettella T., Folino F. e Abblasio C., Indagine esplorativa sulla qualità della vita di famiglie con un figlio autistico, AUTISMO e disturbi dello sviluppo, Vol. 6, n. 1, gennaio 2008 (pp. 45-69)
WHO, The World Health Organisation quality of life assessment (WHOQOL): position paper from the WHO, in “Society Science Medicine”, n. 23, 1995.
Zanobini M., Manetti M., Usai M. C., La famiglia di fronte alla disabilità. Stress, risorse e sostegni, Centro Studi Erickson (2002).
Zanobini M e Usai M. C., Psicologia della disabilità e della riabilitazione, Franco Angeli (2005)
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